Come è noto ai sensi dell’art. 2121 c.c., per trasferimento d’azienda si intende qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di una attività economica organizzata preesistente, che conservi nel trasferimento la propria identità. Ciò significa che l’attività conclusa deve effettivamente proseguire nell’impresa che subentra. La valutazione di tali circostanze va effettuata tenendo in considerazione alcuni fattori: la tipologia di azienda o di stabilimento, la cessione o meno di elementi materiali (come edifici o beni mobili), il valore dei beni immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno del personale da parte dell’azienda subentrante, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività espletate prima e dopo la cessazione. Ciò significa che la ricorrenza di una sola di queste circostanze isolata non implica tout court un trasferimento d’azienda, o meglio, non è di per se sufficiente ad integrare la fattispecie del trasferimento, anche perché un’entità aziendale non può essere ridotta solamente all’attività svolta, bensì occorre la piena coincidenza delle attività imprenditoriali. Motivo per cui il principio scaturente da questa recentissima pronunzia della Corte di Cassazione del 24 marzo 2017 è che la non coincidenza delle attività imprenditoriali dell’azienda cessante e di quella subentrante escludono che possano ritenersi conservate l’entità e l’attività economica necessarie per la configurazione del trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., con conseguente inapplicabilità delle garanzie previste per i lavoratori dalla direttiva CE 2001/23.